STEVE CANYON
GLI ILLIMITATI ORIZZONTI A STELLE E STRISCE

“Toh! Hanno cambiato nome a Terry Lee!”. Potrebbe essere stato il pensiero sorto nella mente di qualche americano che avesse sfogliato un po' distrattamente le pagine di un giornale del 13 gennaio 1947. Né gli si sarebbe potuto dar torto: nel suo consueto stile, appena appena più teso ed inquieto del solito, carico di contrasti d'ombra e marcato da un'eccezionale sensibilità cinematografica, denotata dall'alternanza di campi lunghi, piani americani e primi piani, Milton Caniff aveva dato inizio ad un fumetto sincrono giornaliero-domenicale, caratterizzato da una notevole ricercatezza intellettuale, il quale rappresentava l'ideale prosecuzione delle storie di “Terry and the pirates”.
Intelligente, colto (era stato studente universitario), di alta statura, dai lineamenti marcati, con occhi azzurri e capigliatura bionda, il trentacinquenne Stevenson Burton (“Steve”) Canyon, recentemente smobilitato, col grado di capitano, dal servizio trasporti dell'aeronautica militare, è ora a capo - con l'aiuto di Feeta-Feeta, candida segretaria non indifferente al fascino del suo intraprendente boss - di una compagnia di trasporti aerei, la “Horizons Unlimited”, sempre sull'orlo del crack, ciò che costringe Steve ad accettare gli incarichi più rischiosi.
La sua conoscenza degli aeroporti dello scacchiere lo catapulta così, in pieno clima di sfrenato esotismo, nelle giungle di tutto l'Oriente, sempre alle prese con loschi trafficanti, spie internazionali e agenti dell'Unione Sovietica o della Cina di Mao e soprattutto con avversarie prontissime ad innamorarsi di lui.
Peccato che poi, reinserito nell'aeronautica militare col grado di colonnello, Canyon debba trovarsi sui campi insanguinati della Corea e del Vietnam, sempre più impegnato in missioni belliche che soltanto i più oltranzisti tra i lettori americani possono giudicare gloriose.
“Solitudinem faciunt, pacem appellant”. Il detto tacitiano potrebbe benissimo riferirsi a Steve Canyon, ormai propugnatore di una pax amerikana alla diossina o al napalm.
Il ciclo così si chiude e, a parte l'abissale diversità qualitativa del tratto grafico, lo Steve Canyon di Milton Caniff torna ancora una volta ad identificarsi col Terry Lee di George Wunder.
È vero però che successivamente gli insuccessi politici e militari e le contestazioni della figlia adottiva hanno largamente mitigato, o forse soffocato, il suo apostolato oltranzista.
Ad ulteriore normalizzazione dell'eroe, Caniff ha affibbiato a Steve una mogliettina, che nella definizione del mito sta un po' a significare l'impantofolamento del vecchio leone.
In questo Milton Caniff ha dimostrato di avere molta più duttilità di tanti altri autori, che si sono visti morire tra le mani le proprie creature per non aver capito in tempo che era ormai ora se non di cambiare rotta almeno di imbrigliare le vele.


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