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ALLEY OOP
IL BUON SELVAGGIO

L'ecologia è di moda, sebbene i guasti a quanto ci circonda, o
meglio ci circondava, appaiano ormai irreparabili. Ma varrebbe
ancora la pena di smettere di sconvolgere la natura, se una logica
che ci attanaglia come una condanna non portasse avanti un proposito
che ha origini lontane. Dopo millenni e millenni di paure, soggezioni,
fame, l'uomo sapiente si vendica di quell'ambiente che tanto
gli sembrò ostile. E spiana montagne, sradica foreste, asfalta
praterie. E tuttavia l'uomo sapiente sogna. Nelle monumentali
megalopoli grigie si fa rivivere il vecchio mito del buon selvaggio,
coraggioso e feroce (ma con moderazione) quanto può esserlo un
figlio della giungla eppure ingenuo nella sua generosità primitiva
che la vicinanza della natura selvaggia sa dare, fingendo di ignorare
che questi non è che l'ascendente di noi tutti, distruttori della
natura.
Appare in verità sorprendente come Vincent Hamlin abbia saputo intuire, negli ormai lontani anni trenta, questi
temi che possono apparire tanto attuali. Hamlin, vignettista di professione, geologo e paleontologo per vocazione,
pensò bene che, se la sua generazione si sentiva già all'inconscia
ricerca di un personaggio che vivesse non contaminato in un habitat
ancora intatto, per operare attraverso la suggestiva lettura fumettata
un transfert di sicuro effetto, tanto valeva traslocare, armi
e bagagli, in un'epoca non sospetta. E così Alley Oop, grifagno paleozoico profilato sulle fattezze di Popeye, finì per assuefarsi a vivere in una dimensione dove i fondali
erano sì architettati per rammentare un'epoca che sapeva di arcaico
ma che ospitava anche una comunità che, pur esemplificata a livello
di tribù, faceva tanto vecchia America.
Le avventure di Oop, che Hamlin portò avanti dal 7 agosto 1933 (per le strisce giornaliere, ché
le tavole domenicali ebbero inizio soltanto il 9 settembre 1934)
al 1969, anno in cui cominciò a passarle al suo assistente Dave Grunz, si svolgono dunque in un universo, il regno di Moo, dove coesistono animali antidiluviani e strutture piuttosto
familiari per i lettori della striscia. Alley Oop è l'uomo, pieno di iniziative, il quale affronta, innamorato
della bella Oola e a cavallo del proprio dinosauro Dinny, le più pericolose contrarietà che la sua epoca e i suoi vicini
gli propongono senza tregua.
Ma, più che le situazioni, i dialoghi sono il punto di forza del
prodotto di Hamlin, un fumetto che si ricollega alla migliore tradizione delle funnies,
delle quali conserva il tratto caricaturale pur utilizzando la
struttura narrativa a largo raggio che i comics avventurosi hanno
ampiamente collaudato.
Il grosso colpo d'ala l'autore seppe darlo quando nel 1939 introdusse
un elemento che dette ampio respiro e maggior spessore narrativo
alle vicende dell'erculeo protagonista: la macchina del tempo
che, manovrata da due sconsiderati scienziati, Wonmug e Oscar Bloom, prese a proiettare Alley Oop avanti e indietro nei secoli a sperimentare e verificare date
e personaggi storici.
Da questi viaggi Oop ricaverà insegnamenti ed esperienze che cercherà di imporre ai
suoi contemporanei ogniqualvolta farà ritorno in patria, ma né
l'inetto Re Guzzle né la regina Umpateedle né il visir Foozy vorranno saperne delle fanfaluche che quella testa matta di Oop va, nell'autoironia e nell'antiretorica della strip, proponendo
di volta in volta. E gli stessi sbadati e ingenui scienziati,
che immaginano la ricerca come curiosità didascalica disancorata
da qualsiasi considerazione ideologica, non terranno in alcun
conto i rapporti del loro ricognitore.
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